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L'Inesistente

02 agosto 2017

Il cuore


Salvador Dalí, Pater Noster, 1966

***

L’unica cosa che non erano riusciti a smembrare era stata il cuore: il gigantesco cuore della mucca 54 pompava oscillando fra le loro teste come un candelabro alimentato a sangue, una preziosissima benché intermittente lampada salvavita che si accende nell’istante in cui si spengono tutte le altre luci, sole incluso o quasi. Una luce salvavita nell’antro di una vacca morente, ultimo sforzo meccanico per illuminare le scorie del mondo; un gesto non propriamente volontario, forse, ma certamente apprezzabile da parte di chi, per liberare la strada e far sì che la storia continui a scorrere senza sgombri, si è fatto sbudellare con una mannaia.
     Magari nemmeno la microstoria della mastodontica mucca 54 sarebbe terminata in quel modo e in quel momento, ma per ragioni fisiologiche che non starò qui a spiegare, il suo cuore generosamente bovino avrebbe cessato di battere.
     Ci sono capitoli in cui s’impone il sacrificio di qualcosa o qualcuno, per far andare avanti la trama (ammesso che effettivamente ci sia), per terminarla, per tranciarla con una deviazione di cui, al momento del sacrificio, non si conoscono bene le conseguenze.
     Il cuore ancora pulsante della mucca 54 rischiarava la geometria descritta dalle gambe dei banchettanti, che accavallandosi come triangoli isosceli contenevano gli elementi sulla tovaglia quadrettata nell’area così compresa. Un perimetro di carne vestita su un rombo di carne arroventata dagli ultimi spasmi di vita; spazio religiosamente protetto da una tovaglia lercia, che per qualche motivo il paramedico aveva ritenuto adeguata a quella sottospecie di aperitivo rituale.
     Dopo aver spillato la birra in calici colmi di pezzi di ghiaccio e aver aggiunto ovunque eque dosi di Valium: alla nostra! disse il paramedico tintinnando il vetro del commesso, ancora inebetito da tutta quella sacralità in cui era stato trascinato; e poi: ho portato anche lei! estrasse da una tasca il corpo nudo della barbie, la quale, nelle sue pose smeraldine, a tante cose era servita; e la mise a sedere, sempre con le gambe aperte ricoperte di bava, là dove si incrociavano la gamba sinistra del paramedico e la gamba destra del commesso, mentre alle sue spalle il tramonto filtrava dal ventre maciullato della mucca 54, imbevendo con i suoi bagliori estremi il cuore dell’animale che ancora batteva.
     Mi sembra giusto, osservò il commesso sorseggiando birra; dico: che ci sia anche lei.
     La carta da zucchero della cravatta Versace che il commesso portava al collo s’intonava perfettamente al colore dei suoi occhi, placidamente oceanici, intorbiditi sul fondale da un mix di veleni non ben decifrabile e smerigliato da un certo misticismo di pesci volanti appena sopra la schiuma delle iridi.
     Tu sei un bravo figliolo e voglio essere onesto con te, esordì il paramedico; anzi, con noi, aggiunse accennando rispettosamente alla barbie: non ho la più pallida idea di cosa sia questa mucca e di cosa ci faccia qui, ma so dove dobbiamo andare e ho la situazione quasi interamente sotto controllo, okay?
     Così dicendo, avvicinò una forchettata di carne in scatola alla faccia del commesso che, ricordiamo, aveva un braccio fasciato e l’altra mano impegnata a impugnare il calice di Valium on the rocks. Lui spalancò le fauci, senza smettere di fissare il paramedico con occhi da angelo caduto, anzi, con gli occhi di un angelo dalle ali sbrindellate, recise dalle sforbiciate frettolose di un fratello dispettoso, prima che quest’ultimo, spezzandogli il cuore, lo spingesse nell’inferno con la dolce pressione di un metatarso sudato sulla schiena.
     Ma di questa caduta, per cui non poteva non sentirsi intimamente legato alle sorti della mucca 54, le cui interiora erano precipitate nel burrone esattamente come tutti i suoi organi clonati (e, perché no, esattamente come la sua anima altrettanto clonata), di questa caduta lui aveva piena consapevolezza, e lo confermò abbeverandosi con gusto al calice paglierino, che gli impresse un cerchio di schiuma intorno alle labbra.
     Arriveremo a destinazione quando sarà già buio, annunciò il paramedico, ma almeno a pancia piena; e, comunque vada, ci divertiremo!
     Il commesso fece sbocciare la bocca in attesa del successivo pezzo di carne, quindi, con la coda dell’occhio, guardò la barbie masticando; proprio quando il gigantesco cuore della mucca 54 cessò di lampeggiare sullo spazio ritagliato dalla sovrapposizione delle gambe, si accorse che la barbie aveva ricambiato il suo sguardo con quello che poteva essere un sorriso.


Il Barone Inesistente

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23 luglio 2017

Angelo

     

Salvador Dalí, Gala mi Madonna Sixtina, 1930s

***


     Qualcosa dovremo pur farci con quella mucca.
     È una delle cose più intelligenti che ti abbia sentito dire finora.
     Cosa pensi di fare?
     Estrae un fiammifero dalla scatola e se lo infila in bocca, tipo stecchino: ho fame.
     Cosa?
     Tu non hai fame?
     Cristo, ma tu sei fuori.
     Hai fame o no?
     Be’, sono in piena crisi esistenziale, capisci?
     Cosa devo capire, che sei uno stupido clone del cazzo?
     Ehi, vacci piano!
     Il commesso fa per tirargli un pugno, ma il suo unico braccio libero è quello fasciato, per cui si muove al rallentatore, fa un male cane, e il gesto provoca semplicemente lo spostamento, altrettanto lento, del cucuzzolo del fiammifero di qualche millimetro apparente.
     Cioè, ti salvo il culo, ti metto addosso un abito di Gucci, e tu… vuoi farmi del male?
     Il commesso è paralizzato dal dolore dovuto allo sforzo di muovere il braccio e si mette a piangere, la bocca socchiusa.
     Tranquillo, adesso aggiustiamo le cose, okay?
     Il paramedico ha incastonato la borraccia di birra corretta al Valium tra i due sedili, e con il dorso della mano destra asciuga le lacrime del commesso, che ha cominciato a singhiozzare.
     Ti ho detto tranquillo, ora pensiamo a cosa fare della mucca e tutto andrà a posto, okay?
     Il commesso singhiozza più forte.
     Cosa vuoi farmi? Non potevi uccidermi subito, psicopatico del cazzo?!
     Il paramedico gli tira uno schiaffo, piano.
     Pensi che tutti ti vogliano solo perché hanno bisogno di te, ma non è così, ti dico che per me non è così. Non che non abbia bisogno di te, ricordi il radar che abbiamo rubato e che solo tu sai usare? Penserai: mi ha portato con sé solo per quel fottuto radar, ed è un pensiero logico, ma la logica ti porterebbe al suicidio in pochissimi passaggi, e non mi pare proprio tu voglia crepare, non oggi e nemmeno domani, perché sei un ragazzo fortunato e so che stai morendo di fame… perciò adesso ti tolgo le manette e andiamo a cena nella pancia della mucca, okay?
     Il commesso osserva il fiammifero descrivere un nastro di Möbius sulla bocca del suo interlocutore, ma forse è troppo fatto per tentare un’esegesi delle sue parole, o forse, dato il suo stato di prostrazione psicofisica prossima al delirium tremens, ha inconsciamente optato per un atteggiamento remissivo, in attesa di sferrare il colpo carnevalesco della sua riscossa.
     Okay, facciamolo.
     Bene, mi preoccuperò io di squarciare la bestia con la mannaia, tu pensa alle birre… anzi no!
     Il paramedico si ricorda che in uno dei box per il ghiaccio si trova la mano con il coniglio nero tatuato sopra, quella mano munta dalla morte trovata sull’asfalto prospiciente la sua ex dimora temporanea, quella mano che deve mantenersi riagganciabile al corpo da femmina a cui era verosimilmente attaccata, e quindi in buono stato e all’oscuro di tutti e a tutti i costi, finché non arriverà il momento.
     Facciamo così, tu avvicinati a lei, intendo alla bestia, con fretta rispettosa, non c’è molto tempo, sta per tramontare, e mi fai da palo mentre allestisco la roba per l’apericena; controlla che non ronzino sonde Let it be qui attorno e, ovviamente, togliti i mocassini.
     Perché?
     Perché il mondo è troppo vasto per non sentirsi a brandelli, ma a volte nel suo ventre si aprono dei piccoli squarci, e noi dobbiamo farci trovare pronti in quegli squarci, aprire un varco, lì dentro, un varco solo per noi, guardarci negli occhi e rendere omaggio al miracolo di essere interi, anche se solo per un istante.
     E allora?
     Allora se qualcuno ti ficcasse una lama in pancia, ti svuotasse e ti entrasse dentro con tutte le scarpe per banchettare al riparo della tua cassa toracica, tu come la prenderesti?
     Giusto.
     Inoltre, i mocassini sono di Ferragamo, ricordi?
     Sì, mi hai spiegato anche quella roba del dress code; ecco, tolte le scarpe: vado a informare la mucca morente dell’omaggio che stiamo per renderle.
     Non provare a fregarmi: anche se non lo vedi, il puntatore laser della mia 44 Magnum è fisso sulla tua nuca!
     
Congedato il commesso con un occhiolino, il paramedico si diresse verso il portabagagli. Controllò che la mano fosse ancora lì, splendentemente incellophanata; prese quindi delle lattine di birra, cibo in scatola e/o liofilizzato, una tovaglia a quadretti sporca di sugo sgraffignata in una trattoria nove anni fa, un set di posate da viaggio, la mannaia.   
     Il commesso era giunto caracollando in prossimità del gigantesco animale, le cui ultime angosciate espirazioni facevano vibrare la montagna come un aguzzo guscio di carta stagnola; il disco del sole, ancora impietosamente bollente, straripava sulla scena come un pomodoro in fase di accelerata maturazione e prossimo a cadere dai rami del cielo.
     Lui si chinò sul muso della bestia puntellandosi sugli alluci e, quasi a chiederle perdono, si mise ad accarezzare le froge, cromaticamente smaterializzato dall’inutile grandiosità di quell’atto, bello come l’angelo di Pontormo che solleva il Cristo nella Deposizione.
     Ehi, vedo che state facendo amicizia!
     Il paramedico sferrò la mannaia contro la mucca 54, le cui froge, nerissimi crateri di corpi celesti dispersi nel cosmo, ansimarono per l’ultima volta; con forza sovrumana, le interiora sgusciarono a mandrie fuori dal ventre, schiantandosi al termine del burrone con un soavissimo flop che non lasciò alcuna eco di sé.


Il Barone Inesistente

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