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L'Inesistente: Angelo

23 luglio 2017

Angelo

     

Salvador Dalí, Gala mi Madonna Sixtina, 1930s

***


     Qualcosa dovremo pur farci con quella mucca.
     È una delle cose più intelligenti che ti abbia sentito dire finora.
     Cosa pensi di fare?
     Estrae un fiammifero dalla scatola e se lo infila in bocca, tipo stecchino: ho fame.
     Cosa?
     Tu non hai fame?
     Cristo, ma tu sei fuori.
     Hai fame o no?
     Be’, sono in piena crisi esistenziale, capisci?
     Cosa devo capire, che sei uno stupido clone del cazzo?
     Ehi, vacci piano!
     Il commesso fa per tirargli un pugno, ma il suo unico braccio libero è quello fasciato, per cui si muove al rallentatore, fa un male cane, e il gesto provoca semplicemente lo spostamento, altrettanto lento, del cucuzzolo del fiammifero di qualche millimetro apparente.
     Cioè, ti salvo il culo, ti metto addosso un abito di Gucci, e tu… vuoi farmi del male?
     Il commesso è paralizzato dal dolore dovuto allo sforzo di muovere il braccio e si mette a piangere, la bocca socchiusa.
     Tranquillo, adesso aggiustiamo le cose, okay?
     Il paramedico ha incastonato la borraccia di birra corretta al Valium tra i due sedili, e con il dorso della mano destra asciuga le lacrime del commesso, che ha cominciato a singhiozzare.
     Ti ho detto tranquillo, ora pensiamo a cosa fare della mucca e tutto andrà a posto, okay?
     Il commesso singhiozza più forte.
     Cosa vuoi farmi? Non potevi uccidermi subito, psicopatico del cazzo?!
     Il paramedico gli tira uno schiaffo, piano.
     Pensi che tutti ti vogliano solo perché hanno bisogno di te, ma non è così, ti dico che per me non è così. Non che non abbia bisogno di te, ricordi il radar che abbiamo rubato e che solo tu sai usare? Penserai: mi ha portato con sé solo per quel fottuto radar, ed è un pensiero logico, ma la logica ti porterebbe al suicidio in pochissimi passaggi, e non mi pare proprio tu voglia crepare, non oggi e nemmeno domani, perché sei un ragazzo fortunato e so che stai morendo di fame… perciò adesso ti tolgo le manette e andiamo a cena nella pancia della mucca, okay?
     Il commesso osserva il fiammifero descrivere un nastro di Möbius sulla bocca del suo interlocutore, ma forse è troppo fatto per tentare un’esegesi delle sue parole, o forse, dato il suo stato di prostrazione psicofisica prossima al delirium tremens, ha inconsciamente optato per un atteggiamento remissivo, in attesa di sferrare il colpo carnevalesco della sua riscossa.
     Okay, facciamolo.
     Bene, mi preoccuperò io di squarciare la bestia con la mannaia, tu pensa alle birre… anzi no!
     Il paramedico si ricorda che in uno dei box per il ghiaccio si trova la mano con il coniglio nero tatuato sopra, quella mano munta dalla morte trovata sull’asfalto prospiciente la sua ex dimora temporanea, quella mano che deve mantenersi riagganciabile al corpo da femmina a cui era verosimilmente attaccata, e quindi in buono stato e all’oscuro di tutti e a tutti i costi, finché non arriverà il momento.
     Facciamo così, tu avvicinati a lei, intendo alla bestia, con fretta rispettosa, non c’è molto tempo, sta per tramontare, e mi fai da palo mentre allestisco la roba per l’apericena; controlla che non ronzino sonde Let it be qui attorno e, ovviamente, togliti i mocassini.
     Perché?
     Perché il mondo è troppo vasto per non sentirsi a brandelli, ma a volte nel suo ventre si aprono dei piccoli squarci, e noi dobbiamo farci trovare pronti in quegli squarci, aprire un varco, lì dentro, un varco solo per noi, guardarci negli occhi e rendere omaggio al miracolo di essere interi, anche se solo per un istante.
     E allora?
     Allora se qualcuno ti ficcasse una lama in pancia, ti svuotasse e ti entrasse dentro con tutte le scarpe per banchettare al riparo della tua cassa toracica, tu come la prenderesti?
     Giusto.
     Inoltre, i mocassini sono di Ferragamo, ricordi?
     Sì, mi hai spiegato anche quella roba del dress code; ecco, tolte le scarpe: vado a informare la mucca morente dell’omaggio che stiamo per renderle.
     Non provare a fregarmi: anche se non lo vedi, il puntatore laser della mia 44 Magnum è fisso sulla tua nuca!
     
Congedato il commesso con un occhiolino, il paramedico si diresse verso il portabagagli. Controllò che la mano fosse ancora lì, splendentemente incellophanata; prese quindi delle lattine di birra, cibo in scatola e/o liofilizzato, una tovaglia a quadretti sporca di sugo sgraffignata in una trattoria nove anni fa, un set di posate da viaggio, la mannaia.   
     Il commesso era giunto caracollando in prossimità del gigantesco animale, le cui ultime angosciate espirazioni facevano vibrare la montagna come un aguzzo guscio di carta stagnola; il disco del sole, ancora impietosamente bollente, straripava sulla scena come un pomodoro in fase di accelerata maturazione e prossimo a cadere dai rami del cielo.
     Lui si chinò sul muso della bestia puntellandosi sugli alluci e, quasi a chiederle perdono, si mise ad accarezzare le froge, cromaticamente smaterializzato dall’inutile grandiosità di quell’atto, bello come l’angelo di Pontormo che solleva il Cristo nella Deposizione.
     Ehi, vedo che state facendo amicizia!
     Il paramedico sferrò la mannaia contro la mucca 54, le cui froge, nerissimi crateri di corpi celesti dispersi nel cosmo, ansimarono per l’ultima volta; con forza sovrumana, le interiora sgusciarono a mandrie fuori dal ventre, schiantandosi al termine del burrone con un soavissimo flop che non lasciò alcuna eco di sé.


Il Barone Inesistente

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