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L'Inesistente: marzo 2015

18 marzo 2015

Dave Eggers - Il Cerchio

Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione.

Arthur Schopenhauer, Pererga e Paralipomena, 1851

***


Un cerchio è un insieme di punti. Perché un punto sia isolato deve esistere almeno un intorno di questo punto che contenga elementi non appartenenti all’insieme, ossia un altro insieme vicino al punto la cui esistenza sia determinata dal punto e non dal cerchio. Questo insieme altro rispetto al cerchio definisce un limite per il cerchio e, per il punto, la possibilità di essere sempre identico a se stesso e quindi diverso dagli altri punti, ammettendo la presenza di uno spazio infinitamente estensibile in cui siano comprese informazioni non condivise e riconducibili solo a quel punto.
     La negazione integrale e irreversibile di tale possibilità è il liquido amniotico della società disegnata da Dave Eggers nel suo recente romanzo eu-topico/dis-topico, che è diventato quasi un manuale di riferimento da citare per darsi una parvenza colta ogni volta che si apre bocca nei talk show americani degli ultimi tempi.  
     La società di Eggers estremizza quella attuale, evolvendosi secondo il principio dell’accumulazione, in modo cioè che in tutti gli intorni di ciascun punto esista almeno un elemento appartenente al cerchio. Il Cerchio, inizialmente, nasce come uno spazio animato da un innovativo fervore smart; una tipica startup sbocciata nella Silicon Valley dove tutte le azioni cool vengono condivise attraverso un preciso groviglio di app, scrosciando in un utero virtuale ritracciabile immediatamente nel cloud; lo scopo è promuovere l’eccellenza di taluni prodotti di consumo e stili di vita. Qualsiasi gesto – dall’acquisto di un papillon particolarmente glam, a una mozione di (s)fiducia nei confronti di una decapitazione di massa –  riceve un certo numero di smile o di frown e, sulla base di questa fanatica distillazione emozionale, viene taggato a seconda della sua statisticamente comprovata utilità globale, producendo spesso una spirale di conseguenze potenzialmente autodistruttive.   
      Se Jonathan Franzen biasima il collega per aver semplicemente plasmato ‘un tecno-comunismo che si ammanta di falsa retorica umanistica’, a mio parere Eggers introduce sia nel modo di pensare oggi al mondo social, sia nel linguaggio letterario di un modello che vanta illustri precedenti – da Campanella a Orwell – una novità essenziale che può essere spiegata in termini geometrici.
     Eggers, infatti, sembra raccontarci che oggi sperimentiamo un panoptismo ribaltato: non è tanto importante essere visti, quanto la certezza di non essere invisibili, ossia che ciascun punto non abbia intorno a sé elementi che non ricadano nel campo visivo del cerchio; allora anche il nostro passato non deve avere segreti – neanche uno – ma deve essere volontariamente condiviso; e quando ciò che ci ha resi tali nel presente non distingue il confine e la misura tra i punti, ma è magma infinitamente accumulabile in uno spazio virtuale, che appartiene a chiunque e che chiunque può manipolare, allora il paradosso della non distanza può annientarci.
     D’altra parte, il Cerchio di Eggers, oltre a proporre una descrizione iperrealistica di alcuni meccanismi proliferanti nella società contemporanea, è un paradosso geometrico che simbolicamente ritrae con ironia quella stessa società in forma romanzata. Se infatti un cerchio è un insieme di punti, e se il completamento – il ‘chiudere il cerchio’, auspicato dai Circles – implica l’accumulazione infinita di dati relativi a ciascun individuo, l’impresa è viziata da un cortocircuito originale: un insieme è chiuso se e solo se è il complementare di un insieme aperto; il completamento del cerchio è dunque impossibile perché, anche qualora riuscisse a chiudersi, dovrebbe essere il complementare di un altro, ossia non finito rispetto a un altro insieme finito di cui non potrebbe condividere alcun elemento.
     La trasparenza dell’informazione che la tecnologia oggi garantisce – o dovrebbe garantire – di per sé è uno strumento indubbiamente utile. Tuttavia, se non manteniamo la giusta distanza, al contrario degli istrici di cui parlava Schopenhauer, non solo amplifichiamo la solitudine che i social network dovrebbero risolvere, ma rischiamo di generare inutile violenza; rischiamo di conficcarci l’uno nell’altro, dissanguando identità.

Il Barone Inesistente

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13 marzo 2015

Canto delle mele e delle pere #3


Paul Cézanne, Still life with apples and a pear, 1888-90

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Dalla porta sul retro uscì una zaffata di Red Bull. Era uno di quei microscopici luoghi dove di solito si va a fumare, o a pisciare. Almeno, la gente ci va per quello e altri scopi che potrebbero implicare, oltre all’assenza di luce, una sigaretta o una pisciata. A me interessavano quello e altri scopi. Mi ero acquattato sotto una grondaia; non pioveva troppo, era solo uno di quei fenomeni atmosferici a metà tra la pioggia e la non pioggia. Qualcuno cominciò a fare chiasso, allora tesi l’estremità della pelliccia cercando di costruire una cuccia per il mio fuoco.
    Accesi il primo fiammifero. Tre ragazze scalze, vestite da sposa, sedevano in cerchio attorno a un cesto di mele e di pere, a gambe aperte. Gambe nude e aperte. Non ridevano più: facevano rotolare le mele e le pere disegnando sull’asfalto un triangolo con ai vertici le loro vagine. Le mele e le pere si accumulavano ai vertici del triangolo, riflettendo il bagliore intermittente delle bucce sulla parete di quel vicolo cieco. Le tre ragazze non guardavano la cesta che andava svuotandosi: ogni volta che una mela sbatteva su una pera o viceversa, spingevano il frutto che era stato toccato verso il vertice successivo, riportando dietro l’orecchio le ciocche che talvolta, ricadendo sul viso, trattenevano per qualche istante fra le labbra, come sforzandosi di ricordare qualcosa.
    Accesi il secondo fiammifero. Le tre ragazze, colte da una subitanea voracità, rimanendo ciascuna seduta al proprio vertice, tentarono di divorare intere tutte le mele e le pere, squarciandosi le mandibole e fagocitando insieme ai torsoli i denti che si sradicavano dalle gengive. Nella cesta, privata di ogni frutto, sonnecchiava un cane nero con un pennello in bocca.
     Accesi il terzo fiammifero. La polpa delle mele e delle pere penetrava tutte le superfici del buio. Avvicinai una sigaretta al fuoco e, dopo aver pisciato sui cadaveri delle spose, decisi di dipingere parte di ciò che avevo visto.  


Il Barone Inesistente


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